lunedì, aprile 24, 2006

io & olga

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"Manhattan" 1977

a Woody Allen

Olga mi tradiva, ne ero certo. L’ho capito una sera, quando, frugando tra i panni sporchi ho trovato delle macchie di rossetto sul colletto della camicia, di un altro. Dovevo capirlo, non chiudere gli occhi davanti all’evidenza. Come quando nel cuore della notte riceveva telefonate che puntualmente chiudeva con “ciao mamma”. sua madre è morta soffocata otto anni fa, tentando di convincersi che poteva indossare una taglia 42. Eppure, non è sempre stato così. La prima volta che ci siamo incontrati è stato amore a prima vista, sono stato schiacciato dalla sua personalità. Era l’addio al celibato di Poldo H. lei uscì da una torta vestita con due pon pon sui capezzoli (riusciva a farli ruotare in due direzioni diverse contemporaneamente) gorgheggiando “Date un senso alle vostre patte”. Ma a conquistarmi fu il suo spessore umano, al rinfresco tracannò una pinta di Budweiser e ruttò il quinto canto per intero. Che volete sono cose a cui un uomo non può resistere. Amava l’arte e il buon cibo, ricordo ancora le sei ore di fila per ammirare Hugo Valkenberg, artista olandese noto per le sue performance in cui si tagliava le unghie in pubblico, o i 200 dollari spesi da “Petit Patat “ per ingozzarci con i piatti di jean Loius Flou, chef francese noto per la generosità delle sue porzioni che serviva direttamente in un vetrino da microscopio. La politica e la cultura sono state il collante della nostra vita, come quella volta che per festeggiare la vittoria dei democratici rincorremmo un portoricano per 12 isolati mascherati con dei cappucci bianchi, o come quando ad un vernissage di Andy Wahrol per pura provocazione fingemmo di essere due pittori. La passione era forte, quando era fuori per lavoro, facevamo sesso telefonico, ma sicuro, mettevo il preservativo sulla cornetta. Rimase in cinta lo stesso. Forse perché non avevo pagato la bolletta chissà. Mi struggo ricordando le meravigliose serate passate sotto la minaccia di una 38, a convincere i creditori che prima o poi la zuppa di lombrichi avrebbe avuto un mercato, o i pomeriggi trascorsi a fare l’amore vestito da idraulico e ammanettato alla spalliera del letto per le caviglie. Dove’è finito tutto questo? E la passione? Dove sono finiti I suoi orgasmi finti? E le mie cilecche vere? Mi manca la nostra complicità, una volta a natale gli regalai un libro di poesie, lei un trattato sull’ansia da prestazione. “Ti credevo diverso” me lo ha detto ieri, con aria quasi risentita “All’inizio eri attento, stimolante, divertente e pieno di iniziative, adesso sembri un oloturia lobotomizzata. “Amore” gli ho detto colando acqua di mare dalle narici, “ ho perso il lavoro, ho un mutuo, la tessera di Blockbuster scaduta e ieri un tizio a cui devo dei soldi ha preso in ostaggio il mio anulare ed un orecchio e come se non bastasse è finita la salsa tartara”. Poi, Gli ho chiesto se mi tradisce, ho trovato il coraggio mentre guardava una televendita dove un cuoco taglia in due una Ford del 69 con un coltello da formaggio, Lei mi ha guardato in silenzio e poi ha fatto uscire da sotto il letto un certo Fernando Sanchez detto “el nemigo pubico”. E’ un addetto all’import export in una ditta di diaframmi. Aveva indosso una maglietta con su scritto “niente di personale” e un paio di boxer imbottiti sul davanti, i miei. Sono stato molto dignitoso, ho fatto le valigie, raccolto le mie cose e dopo averla salutata ho tentato di uccidermi ingoiando un depilatore. Perché come diceva Samuel Tristan Valdoorf (teorizzatore del suicidio come metodo per generare sensi di colpa e cura contro i diverticoli ndr.) “La dignità è un qualità straordinaria, ma bisogna potersela permettere” .

Olga vive con un filosofo body builder a vancouver.

Il protagonista maschile (di cui celiamo l’identità per il rispetto della privacy)
Ha perso la dignità e pare, non l’abbia più trovata, ma in compenso non ha più peli sullo stomaco.

L’orecchio e il dito sono stati restituiti sani e salvi dopo sei mesi di sequestro.

venerdì, aprile 21, 2006

MR. b. for Presi (dent)

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"...ma si, presidente della repubblica subito. Così ci romperà i coglioni solo al discorso di capodanno...

martedì, aprile 18, 2006

contrOindicazioni

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“...nei casi gravi possono manifestarsi i seguenti sintomi: derealizzazione, depersonalizzazione, iperacusia, intorpidimento e formicolio delle estremità ,stitichezza delle idee, ipersensibilità alla luce, al rumore e al fuorigioco, allucinazioni o scosse epilettiche. Insonnia o ansia di rimbalzo, autismo, afasia, onanismo compulsivo, disturbi del sonno e un bisogno irresistibile di comprare un dromedario di seconda mano…”

25 gocce sotto la lingua vanno giù che è una bellezza, Mentre il sonno mi si appende alle ciglia capisco che è mercoledì e sbavo da un lato anche. Mi pare di ricordare che devo dei soldi alla mafia russa per quella vecchia storia del traffico di contrabbando delle matrioske. Farmi chiamare Leonida e disegnare due virgole nere sulla fototessera non mi salverà dalla vendetta e dallo scolo. La mia sveglia al quarzo fa tic tac. Poi, mi confesso, Il reverendo Postelwithe mi benedice con del rosolio ed un finocchio. Dissolvenza. Mi trovo nella piazza centrale di Magdeburgo con indosso il solo calzino sinistro e l’orologio della prima comunione. Mentre la banda dei granatieri intona “Oh, poffarbacco! Oh! Oh! Oh!(in quattro quarti), mi si avvicina un sommergibilista di Minsk con la scritta "glasnost" sugli slip e la faccia identica a quella di mia zia Bertha, con l’unica eccezione che il sommergibilista non ha i baffi e mi domanda se la vita ha un senso dopo i settanta anni e, brandendo una pompetta, se conosco l’indirizzo di un buon urologo. Le labbra bianche e la bocca amara. Se conto fino a dieci mi sveglio, ma il direttore del reparto r.e.m. mi tira per la giacca, roteo gli occhi a scatto, come posso, tanto per essere credibile e già che ci sono me la faccio addosso, poi, comincia a piovere in Val d’Orsola e non mi si apre nemmo l’ombrello (cazzo). Campo lungo. mia madre, vestita da feldmaresciallo mi viene incontro con una teglia di castagnaccio ed un allocco impagliato sulla spalla, mi mostra un tracciato di sonno profondo e mi sussurra che mi sto ammazzando , di coprirmi le orecchie che prendo freddo e di non toccarmi. Dissolvenza. ora sono seduto davanti al mio pc che è insolitamente in modalità “don ciccio”, mi rifiuto di scrivere il nuovo pezzo e a tre isolati di distanza la mia auto salta in aria. Il culo bianco che appare all’orizzonte mi sussurra a suo modo che anche questa sarà una giornata di merda. Il testosterone in circolo anche stamattina fa il suo dovere, apro gli occhi e nella mano sinistra ho un pollo di gomma. Buondì mr. Hobbs.

venerdì, aprile 07, 2006

gregorius

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Jan Vermeer


Prologo: (Rumori di legno, qualche scricchiolio sotto le suole. Un sigillo, tabacco.)

Gregorius ha i baffi da alce impagliata, da sala della caccia. Gli occhi però sono vivi. Opale andaluso con un guizzo di inteligenza antica. Ha un mazzo di chiavi al fianco e un orologio da tasca appeso alle anche dinoccolate. Si porta appresso una nuvola di tabacco e liquirizia amara. Dentro il gilet invece, la curva delle spalle gli ricorda che l’anima, dopo una certa età, pesa ben più di venti grammi. “E’ la numero 23” infila la chiave d'osso nella piccola toppa e gira col polso fino al click che cede alla luce. “eccola qui” “perfetto” dalla scatola di ciliegio tiro fuori la pergamena. Le due macchie di china seppia sono ancora li a leccare la carta rosaspina. Un leggero rilievo sotto al polpastrello, poche curve, angoli stretti, come le strade che ami. Quelle del ritorno. Briciole di ceralacca sotto le unghie. “Ha notato i bordi? Perfetti. Nemmeno un po ingialliti. E’ un protettivo, me lo portano da Anversa ogni mese insieme alle aringhe affumicate e al malto rosso.” Danza tra le sue scatole in un fruscio di stoffa leggera e una rosa tra i denti, poi, bussano alla piccola porta che da su Rue de Chambronne. La ripiego con cura e richiudo la scatola. Riceve per appuntamento Gregorius, io vengo qui ogni settimana, di venerdì. Ho la scatola in ciliegio con la chiave numero ventitre, un anima minata dalla fame e una bussola in tasca per la labirintite. Mi sono tolto le parole di bocca con l’aiuto delle mani e di un forcipe. Mi chiamo Leonardo.

Epilogo: (La resistenza, un addio. Una botola. Le scatole vuote.)

“ Stanno arrivando. domani, di tutto questo non vi sarà più traccia. Ho solo un ultima curiosità, posso chiederle cosa c’è scritto sulla pergamena?”

“Credevo lo avesse capito, c’è scritto ti amo.”


“...il vantaggio delle parole scritte è proprio questo. Il tempo e sopratutto l'aria, non ne cancellano le tracce. se il suono fosse come la luce potremmo corrergli dietro all'infinito. "ti amo" gridato con una certa intonazione potrebbe durare per sempre e noi, viaggiare con lui. Ma non è così. Ecco perchè scrivo. Perchè qualcosa resti. …
Roy Hobbs “Parole senza voce”

lunedì, aprile 03, 2006

come due pappagalli

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zero
non so contare.
uno
Ho passato una vita ad avere piccole idee, ma buone come il pane. Quando ne perdo qualcuna, profuma tutta la stanza. Lasciano tracce di farina e lettere di giornale. Niente numeri, numeri binari forse, ma li dimentico subito. Una volta le ho seguite comunque, una polonaise in tre quarti, fuori dalla finestra, oltre la luna di cartapaglia. A domani.
zero
Qualcosa si è rotto, con un rumore sordo. Il metabolismo dell’anima è diventato bulimico. Ha cominciato a mangiare amore e qualunque cosa vi assomigliasse, anche le castagne. Tengo la sua foto nel portamonete, perché per fare i conti con il proprio passato bisogna saper contare.
La nota spese (rigorosamente dietro un biglietto di Camilla) recita:

(andante con brio)

armatura di cuoio,
legacci.
grasso di balena
arance rosse (1 kg)
cervicale
pistacchi (libanesi, mi raccomando)
mandorle
bestemmie (a iosa)
la foto di Camilla a Ville Saint Germaine
trigliceridi (440)
sorrisi (alla mescita)
neve (un pugno)
aulin (2 scatole)
un osso di narvalo

uno
Non aveva pazienza, in niente, mangiava trucioli di noce e frassino bianco. “fanno cagare idee robuste”. Forse era questione di solidità di stabilità. Per me, metto sempre una moneta da cento lire sotto le gambe dispari. ma la danza ha un suo senso, quindi, traballa lo stesso. Questo cari miei è un tavolo sulle punte.
zero
non so contare. e tu?