mercoledì, luglio 26, 2006

mercoledì (quinta diminuita)

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Il mercoledì è un ventre molle, questo è un dato di fatto. La chiave che ho piantata tra le scapole (sol), batte un tempo strano, dispari, come il tamburo di latta che porto a tracolla. Siamo a fine corsa, non v’è dubbio, un po come agitarsi in acqua con poco ossigeno in corpo, crepare a scatti, godendo solo in qualche pausa. Il pomeriggio è sopra le righe, come un fa, la mia Nota a margine è (ricordarsi di ricordare). La sera, un semitono sotto invece, perché non ci arrivo, perché non arrivi. Brandy e alici non basteranno e nemmeno un metronomo con l’ora legale, il giovedì in fondo è solo alla battuta seguente. Faccio un barrè a mezzanotte. Ma, ai sette giorni, mancano i bemolle. Musica.

mercoledì, luglio 19, 2006

voodoo chicken (benzodiazepine & mais)

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Continua a passare sabbia sotto la tenda, me la ritrovo dappertutto, si infila in ogni anfratto, come l’acqua. Quando mi capita di ciondolare il capo nelle ore da mosche, dopo quei sogni fatti di piccoli scatti me la ritrovo anche in bocca, come cotone. Credevo, sbagliando, che il coccodrillo imbalsamato e l’insegna avrebbero portato qualche cliente distratto col sale sulle spalle. Nessuno crede più a certe cose, devo aver sbagliato qualcosa. Eppure, la ciocca di capelli, la stoffa, un pezzo di lingua, uno sputo di disprezzo, parole digerite, tutta roba mia. Punto gli spilli, Niente. Nessuno crede più a certe cose, nemmeno io. Ma ho avuto i miei giorni sapete, la badessa e il travestito ad esempio sono ancora insieme, così come il manichino del reparto invernale e il becchino. Il pollo con gli speroni salta per la stanza tra i cerchi di farina, tengo la sua testa in mano e la voce di Ma Rainey nella pancia. Il pollo mi guarda di profilo e dice “ho la testa da un'altra parte, scusami”. Poi, dipinge di rosso ogni parete. Non resta che ballarci sopra, e domandarsi perché non ce ne importa più niente.

giovedì, luglio 13, 2006

camilla


Mi piacerebbe, più di ogni altra cosa, che tu mi lasciassi andare. Che mi lasciassero in pace i tuoi ricci neri in punta di matita. Le cosce bianche, la voce da sordina. Vorrei che mi lasciassi sotto i portici, dentro le mie scarpe da tip tap. Vorrei che mi scovassi dopo la conta, nascosto dietro un bicchiere, inghiottire l’imbarazzo a piccoli sorsi. spiare se aspetti. Vorrei che il tuo ombelico non fosse l’unica luna. Che non fossi più la sabbia nel letto. Vorrei riavere indietro le otto di sera e ombre da cortile. Mi piacerebbe, più di ogni altra cosa, guardarti di spalle, braccare il tuo addio senza bussola. Vorrei si, ma la pazienza non è un arte, è il tempo domato.

martedì, luglio 11, 2006

storie di perplessi guerrieri (1)

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C’era una svolta. Pensato alla torre, al cavallo baio di seconda mano (catalitico) e financo a un bell’elmo omologato. Coccodrilli incoscienti, uno scontrino sotto le maglie di monetine. La sibilla sillaba tutto e il contrario di tutto, vatti a fidare. 4745 giorni di cammino sui propri passi. Ala-barda alle scapole e un drago ipoteso e depresso al seguito. Affrontati I nani (sette), sempre in fila per lavori occulti o appalti pubblici. Turchine zoccole con gravidanze isteriche, orologi biologici che vanno un ora avanti, e padri da banco con trucioli bugiardi. stivali da gatto (stretti) perché dice che calzano meno, fagioli priapici, torri con vista sul male. Le ombre cinesi alla finestra, non lasciano dubbi, quello, non sono io. Non hai sciolto la treccia mi pare. Spero che lui ti abbia lasciato e che ti sia venuto un culo grosso così.

Note Bibliografiche : “fiaba inclusa nella raccolta “dovevo darvi il bromuro” che il giovine Roy Hobbs raccontava alla piccola f. ogni notte prima di dormire. La piccola F.. oggi ha 28 anni e soffre di insonnia, anzi, non ha mai dormito una notte in vita sua”

Per F. a cui dovevo una fiaba.

p.s.
E vissero per sempre.

mercoledì, luglio 05, 2006

l'innocenza ad agosto

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La lucertola cominciò a rotolare su se stessa nella sabbia, come un serpente impazzito. Il cappio di ginestra che stringeva il collo gli faceva aprire e chiudere la bocca a scatti, come uno di quei pupazzi a molla quando la carica stà per finire. Il bambino rise, pensò al suo scimmiotto che sbatteva i piatti. Poi la guardò ancora un poco, finche non ebbe finito di muoversi. Una bambina con le trecce rosse piangeva, gli altri disposti in cerchio ridacchiavano eccitati. Il bambino lentamente, sputò sulla lucertola, lasciando cadere piano la saliva per essere sicuro di prenderla. Lo scimmiotto smise di sbattere i piatti. Poi, si voltarono e corsero verso la spiaggia.