lunedì, dicembre 31, 2007

l'ultimo capodanno



L'asse terrestre si era spostato di un metro. La grande esplosione fu vista fino a 3500 km di distanza, e il grande fungo Viola sparse cenere radioattiva e lenticchie per mesi. I fenomeni più evidenti furono glaciazioni, maremoti, tsunami e l'estinzione seduta stante delle foche monache e degli agenti immobiliari, orgasmi precoci nei bradipi, e mutazioni genetiche che portarono coccodrilli ipermetropi nelle fogne, e piedi palmati in tutti i nuotatori della staffetta 4X100 della nazionale Nepalese. Ma facciamo un passo indietro.

Greenville, ore 15:30 del 30 dicembre.
Alfonso Berliot, discende da una gloriosa stirpe di mutilati di guerra, la guerra dei botti di capodanno. Suo nonno, Grisnwald Berliot, tiene la salma della sua mano destra in una teca di vetro, ne fa sfoggio, orgogliosamente, nelle grandi occasioni. L'ha persa in battaglia il 31 dicembre del 1956 durante una furiosa lotta a colpi di bengala e bombe carta durata tutta la notte con il ragioniere Kurtzl Fink. Al ragioniere Fink, sul campo e con onore, era venuta a mancare anche la suocera Kallista Brieghel, detta Kallie. Ella, aveva messo a bollire la zuppa di cipolle per il cenone scambiando il sacchetto della polvere pirica per il pepe nero. Di lei Rimasero solamente la parannanza e un ginocchio che fu usato a memoria futura come fermaporta.
ore 05:40 del 31 dicembre Berliot nota strani movimenti in casa del Prfessor Ezra Fink, nipote Grinswald, un enorme pacco a forma di siluro, lungo almeno quattordici metri e mezzo legato con lo spago, fu portato da due facchini vestiti da becchini nel retro della casa. Dunque lo aveva fatto, Fink aveva preso il V2. Si vociferava del mitico ordigno da almeno due anni, da quando Gregor Zokr, il chimico di Winter strasse, si lasciò sfuggire durante una sbornia a base di bananino, che stava lavorando alla realizzazione del più grande bengala del mondo a testata nucleare. Fink è in netto vantaggio, si aggiudicherà la battaglia, e forse, la guerra. Bisogna correre ai ripari, rispondere al nemico. Ha sempre sperato di non doverlo fare, di non dover comporre quel numero, ha rinviato, rimandato, mordendosi il labbro, ma ora, non c'era più scelta. Afferra la cornetta e compone il numero.
ore 15:25 del 31 dicembre Karl Pretzel, detto Dott. Morte, è noto nel quartiere come il genio della polvere pirica, passa con indifferenza assoluta dai rauti alle bombe atomiche. Una leggenda racconta che in gioventù, è stato killer per la mafia. Un altra, ancora più terribile, dice che al piccolo Pretzel nessuno avesse mai regalato le miccette. Questo lo ha reso crudele e avido di vendetta fino al punto di battezzare sua figlia “Enola Gay”. Pretzel ha lavorato per un anno intero ad un sistema rivoluzionario di tracciamento, ovvero una serie di nuovi bengala in grado di seguire missili nemici con un sistema di rilevamento, annientarli, e poi dirigersi verso la fonte nemica con delle testate da 40 megatoni. Il tutto, costa due stipendi. Berliot si barrica in garage tutto il pomeriggio dedicandosi alla costruzione della rampa di lancio, ascoltando Wagner con una paresi da invasato sulla faccia.
ore 23:41 del 31 dicembre Berliot, osserva il campo nemico con un binocolo ad infrarossi. Nello stesso momento, Ezra Fink, con un comando a distanza apre il tetto del garage, e tra le canne da pesca le scarpe estive ed il decespugliatore elettrico fa capolino la punta del V2, dipinta di rosso con la scritta “benvenuti all'inverno”
ore 23:59 del 31 dicembre mentre il resto del mondo stappa bottiglie di spumante dolciastro, indossando degli osceni cappellini di carta a fiori, dal box auto di Alfonso Berliot si affaccia la carlinga del razzo “Funny Luftwaffe”. Il presidente fa un discorso a reti unificate, il mondo vomita cotechini, in uno sbucciarsi di fusi orari e fuochi di artificio, balletti, carri, costumi, buoni propositi, oroscopi pornografici ed esecuzioni di piazza con l'anno nuovo che sa di tappo.

E' così che è andata, Il fungo atomico bluastro si levò all'angolo tra Derren Strasse e Brueghen Strasse. Fu un aurora boreale dai riflessi metallici, i parrucchini si incenerirono, le lenticchie si attaccarono alle teglie e ai muri delle case, gli orlogi, loro malgrado saltarono un secondo o due. La teca di Grinswald Berliot si illuminò a giorno per un attimo, poi rotolò lungo il piano del comò passando tra un acquasantiera e una foto di un caro estinto incastrato a forza in un passeggino, poi, si frantumò a terra.


Il tempo è una convenzione, il tempo non esiste.

Buona anno a tutti.

sabato, dicembre 22, 2007

killing santa



a certe cose dovresti smettere di credere presto, Io te lo avevo detto cosa volevo, palla di lardo rosso. Sei vecchio e grasso, e pistola vuol dire pistola cazzo. Che me ne faccio di un gioco? E quegli stronzi a prendermi per il culo tutto l'anno. Quattrocchi a tua nonna. Una cosa dovevi fare tu, portare regali, nient'altro, e dare un po di biada a quelle quattro vacche cornute parcheggiate in giardino. Un anno ho aspettato un fottuto anno di prese per il culo, ti chiedo un revolver e ti presenti con il piccolo chimico. Russel e Anderson giocano a prendere gli ostaggi e io cazzeggio con l'inchiostro simpatico. E adesso io ti pianto una palla in mezzo alla schiena, e meno male che c'è ancora la pistola di mio padre nella fondina della divisa, la santa reliquia nell'armadio di mamma. Tanto lei non si accorge di niente, si scola il cognac mischiato alle lacrime, e parla fitto fitto con zio Burton nel soggiorno. Lo zio passa ogni pomeriggio, e mamma accosta la porta e gira la foto del matrimonio contro la parete perchè lui, mentre la consola, le tasta il culo. Dice che le tiene compagnia, zio Burton. Mi stavo per addormentare, il legno scoppietta, tu hai un cappello rosso in testa, una barba con l'elastico e le braghe calate, e tieni le scarpe in mano. stai sussurrando fuori dalla porta “bella bambina, lo vuoi il regalino?” ti facevo più alto. Chiudo un occhio. Bang. A certe cose dovresti smettere di credere presto, ovviamente non sei arrivato, malgrado il bigliettino che ti ho scritto a scuola in bella calligrafia. Una sola cosa non ho capito, chissà che cazzo ci faceva zio Burton vestito da te nella camera da letto di mamma.


Buon natale.

mercoledì, dicembre 12, 2007

purè


Harpo Marx

(sei sicuro di non poterti muovere?)

Sentirti masticare a tavola mi fa venire voglia di spararti in mezzo alla fronte, tu strusci la forchetta sul piatto e mi graffi lo stomaco. Ho le cartacce sotto il letto e l'alito cattivo. Che poi cattivo, diciamo intrattabile e poco propenso a fare prestiti. Ho anche una quantità di multe non pagate. Latitante, me ne sto nascosto in garage , con un poster di Harpo Marx a coprire una macchia di umidità color piscio. Mia moglie, o quel che ne resta dorme da un altra parte, ma non chiedetemi quale. Appena esce di casa corro in bagno a disperdere il seme nel piombo delle condutture. Mentre scarico, penso, perchè mai accoppiarmi con quella cosa a cui ho detto "SI" evirato seppia e sotto il ricatto di un mutuo a 45 anni, quando posso farmi da me? in fondo, volevo solo una scena muta. A me piacciono i film porno, a te gli sguardi bassi, epperò scrivo poesie su dei foglietti, che leggo in ascensore all'inquilina del terzo piano, bloccata contro la pulsantiera. Una volta mi disse "vorrei essere come te, dentro" e io pensavo "vorrei essere in te, dentro". Il mio amico che per comodità chiameremo B. (vero nome B. ndr.) mi domanda ingoiando chinotto come se fosse Brunello, se c'è stato un momento in cui l'ho amata davvero. A me il chinotto fa schifo, e le famiglie si fanno per campare, non per amore, perché io mica lo so cos'è l'amore. Mio nonno diceva che aveva sposato sua moglie perchè lavorava come un uomo. Tutto questo per raccontarvi che la mia cella non è il cesso, ma la mia vita, e non ho lo sciacquone. Ogni tanto mi chiudo in macchina, ho una Ford Camaro del 67 con un telo giallo sopra e quattro mattoni al posto delle ruote. Poggio le mani sul volante in vinilpelle e guardo la placca di metallo che dice "vai piano papà" poi, mi ricordo che noi non abbiamo figli. E non li abbiamo perchè non sono voluti venire, e hanno avuto ragione loro, non avrebbero trovato nessuno. Faccio vibrare le labbra come i bambini e parto. Vorrei tanto andare alle saline di Capistrano a leccare le strade, comprare quel ristorante senza pareti dove poter mangiare con le mani, o pescare nel mucchio con una canna da luoghi comuni. Sono Chilometri a peso d'oro, forzo un posto di blocco facendo il vago. Mi fermi con una mano, mi chiedi i documenti vestita da sceriffo. Ti passo la patente e domando " che c'è per cena?"

mercoledì, dicembre 05, 2007

750 pecore


Lucien Freud

ho qualche minuto di vantaggio sui miei pensieri. 750 passi, o metri se preferite. Ho sognato 650 questioni di lana caprina e pecore che mi contavano per star sveglie. Io mi chiamo Libero Calogero o Calogero Libero, che non ho mai capito bene quale è il cognome. Sono 550 sotto la lingua, dietro l'orecchio, fare il morto a galla nella pozza del letto, e come un pesce falla, faccio acqua da tutte le parti . Sono 450 notti a leccare il cucchiao, a girare per Roma sul mio ciclotimico senza patente, pedalando scatti bambina mia, con la mia cravatta nel vento e senza mutande. Chissà quale dei 350 fratelli Orfei ha il circo onirico, quello delle pulci. In 250 giurano di averle viste saltare da un sogno all'altro e poi si sono grattati a sangue. Sono 150, sgozzate dietro la siepe per ammazzare il tempo, buone per il materasso e le sento belare in mezzo alle molle, è la beffa della pura lana, sembrano olive, ma è solo merda verde. 50 giorni senza sete ne sabbia nelle scarpe, rovesciando gli occhi per guardarsi dentro e dormire, dormire, dormire. zero.