mercoledì, novembre 12, 2008

legge di stevino


Lucien freud

non ti amo più. A lui cominciò a colare sangue dal naso, nel penoso tentativo di colmare il vuoto con il solito trucco dei vasi comunicanti. Aveva visto in un documentario che a far pena a volte ci si salva la pelle. Quindi cominciò a strisciare sui mobili e sulle pareti, e poi a contorcersi in cerchi concentrici chiamandosi lombrico. Alterare la voce, pensò. Ne uscì un tono glabro vagamente irritante, lei lo allontanava con i palmi distesi, con la stessa grazia con cui ci si toglierebbe la forfora da una giacca nera. Lui faceva mosse da bracco, lei aveva già il fagiano tra i canini, e il padrone aspettava dietro una duna con le canne del fucile appoggiate sull'avambraccio tatuato a morte. Troppo pigro anche per incazzarsi, indossò il vestito dello sconfitto, rantolando per la stanza con il cartellino del prezzo attaccato alle chiappe, aggiustandosi il bavero. E inscenò l'avanspettacolo del magnifico perdente, mentre dalle quinte la claque succhiava fette di limone, sbavando speranza nella stecca del trombettista. Nessuna creatura al mondo dovrebbe assistere non pagando, alla svendita del rispetto, e mai nei saldi del venerdì pomeriggio. L'amore dovrebbe morire come le persone, nel letto. E frignò ancora un poco, ricordando quando al telefono, nelle ore più corte della notte biascicavano sonno e possesso nei loro "scarica tu" "no prima tu".