domenica, dicembre 20, 2009

a christmas carlo



sulla porta, con una mano sulla spalla, Il direttore Rostagno mi dice: "Da questo momento lei è un simbolo, migliaia di bambini credono in lei, sia degno di questo costume. Vada pure" poi si volta e firma la lettera di licenziamento di quattro magazzinieri polacchi senza contratto. La filodiffusione passa Dean Martin e "Jingle Bell Rock" fino alla nausea, ho voglia di abbattere tutte le renne di pelouche del reparto giocattoli, ma ho trovato lavoro ed ho un fucile di plastica. La vetrina della profumeria ha la neve fatta con l'ovatta, anche se poco oltre la porta a vetri si crepa di caldo, l'aria puzza di mele candite e sudore, la profumiera mi sorride, poi con uno spray scrive qualcosa al contrario, e vedo le poppe schiacciarsi contro il vetro. Auguri anche a te. Cazzo, mi tocca lavorare con Norberto, il mezzo uomo che lavora all'ufficio reclami, ha una calzamaglia verde e delle orecchie di gomma che gli cadono di continuo, fa lo gnomo, e scatta le polaroid. Ma ho trovato lavoro. Il lavoro me lo ha trovato Zolthan veramente, lui è al reparto salumi. Zolthan affetta tre etti di mortadella in meno di quattro secondi, tempo di rilievo europeo, ed è per questo che l'ho scelto, mi serviva uno veloce. Quindici secondi invece, sono quelli che servono a me per far vedere alla profumiera, nel retrobottega, il regalo che zio Santa ha nascosto sotto la fibbia dorata e a Zolthan per svuotargli la cassa e uscire . Verso le quattro del pomeriggio la colla comincia a sciogliersi, mi cola dietro le orecchie e sotto il mento, ma ho trovato lavoro. Mi chiamo Carlo e passo il natale in un grande magazzino sulla Laurentina, vestito di rosso e con una barba posticcia che pende di lato facendo foto con in braccio bambini sudaticci, che si puliscono il moccio sulle mie maniche di finta pelliccia, sbavando come dei cani e leggendo letterine idiote che cominciano tutte con "io vojo...". Passerò il natale così, con la pancera imbottita di banconote, sussurrando nelle loro orecchie, un attimo prima del flash, "Babbo Natale non esiste".



martedì, dicembre 01, 2009

rocket man


Red Nose Sudio
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la, lallà, lalallà, lallallà.....

Ha il fegato pieno di buchi. Pensa alla spugna con cui si fa il bagno. Vorrebbe farsi un bagno. E subito dopo stringe la mano al medico con gli occhiali a mezzaluna, paga la parcella, attraversa il parcheggio, e poi entra nell'emporio Prendergast. Quando esce stringe il collo della bottiglia nella busta di carta marrone. Questo qui, che ingoia con la testa all'indietro è mio padre. Mio padre ha passato la vita ad ingoiare roba scura. Glielo ha insegnato Bill Stocton che già fumava, lui. Gli ha insegnato un sacco di altre cose a dirla tutta. A frugarsi nelle mutande anche, che li non è che ci fosse molto da fare. Aspettavano la domenica, perché la domenica facevano le frittelle con lo sciroppo d'acero, e poi, venivano tutti quelli vestiti bianco. Si aggiravano per il refettorio ed il parco giochi in attesa di trovare lo sguardo adatto. Era come al canile, ti scegli quello con lo sguardo che fa più pena. Quel giorno mio padre fece il miglior sguardo da bracco possibile, e gli andò di lusso, per un po'.

Questa invece è mia madre. La foto fa schifo, ma potete credermi sulla parola, ha quarantatrè anni, qui. E' quella con i capelli raccolti e il sorriso acquoso. Quello vicino al barbecue è zio Nel, qui non si vede, ma con la mano destra tasta il culo a mia madre. Come girava la carne lui, nessuno al mondo. Credo sia morto di gotta. Comunque lo ha trovato mia zia davanti alla finale del superbowl, con un sigaro ancora acceso. Era simpatico zio Nel, a natale mi faceva dei regali pazzeschi, e poi mi diceva "non dire niente a tuo padre, Sam" che non ho mai capito cosa volesse dire.

Questo qui sono io, era l'estate del 66 credo. La foto è un po' gialla, ma ci siamo capiti. Sto costruendo il mio primo razzo. Non andò benissimo, devo dirvelo, non arrivai oltre lo steccato dei Darren. L'ammaraggio avvenne sul prato appena tosato, a pochi metri dalla cuccia di Stuck. La stampa scrisse che il cosmonauta era ancora vivo, ma che il reattore aveva avuto un' avaria. Mio padre non la prese troppo bene, e nemmeno i Darren. Con il secondo andò meglio, arrivai oltre la terza media.

Questa è in bianco e nero. Qui si arrotola la cinta intorno al pugno, sento ancora il cuoio scricchiolare. Avevo rovesciato il bicchiere, o qualcosa di altrettanto grave. Lui aveva lasciato cadere la forchetta nel purè. Le forchette nel purè non fanno rumore, non come i suoi denti comunque. Aveva detto "vai di sopra", quasi sottovoce, come le altre volte. Mia madre aveva alzato il volume della radio, perché non sentissero i vicini.

Qui è ancora mia madre, con una mano sugli occhi e un altra sulle orecchie. Siamo al mio compleanno, e io sono chiuso nell'armadio, tanto per cambiare. Mia madre era cieca e sorda, lo è stata per tutta la sua vita che conosco. Ho gridato tante di quelle volte. Se solo avessero rapinato banche. Sarebbe stata una complice perfetta. Qui è quando venne il Preside Flass a chiedere conto dei segni dietro la schiena. La foto è sovraesposta, ma probabilmente sta piangendo, per lei, o di lei, non so, è ferma sulla porta della cucina e dice che sono caduto dalle scale. Flass le crede, e se ne va. Voi non lo potete sentire adesso, ma la radio suona:


Io sono l'uomo razzo,
le stelle, le guardo da vicino,
dentro una tuta di carta stagnola.
Ho un reattore da un bilione di neutroni
sulle scapole curve, appena sotto i lividi,
insegnerò a voialtri come si vola via
con un fustino di detersivo, bretelle, e la paura del buio.

Partire è stato facile,
perché io sono l'uomo razzo,
un anno luce è solo un pomeriggio sognato,
navigato a vista,
a centomila nodi sopra il male.
Ho un sestante di cartone
per tracciare una ascissa polare,
dove le stelle le soffi nel sapone,
e non devi più chinare lo sguardo.

Io sono l'uomo razzo, guardatemi,
seduto in un angolo,
con le mani sulle orecchie
a pregare numeri a caso,
a fermare la tua cinta,
o a unire un milione di stelle in punta di matita
e aspettare che sembri un disegno,
oppure un sorriso bianco da dentifricio alla ionosfera.

Volo in silenzio,
e il mio acquario per pesci non si appanna mai,
anche quando ci respiro dentro lo stupore,
che volare è come nuotare,
basta solo dimenticare.
Ora mi bastano scarpe ben allacciate,
un ordinata sferica,
un orizzonte di curvatura dove non puoi arrivare,
dove non farà più male.

Io sono l'uomo razzo,
ho portato con me tutto quello che serve senza gravità,
cioccolato, carta di riso e francobolli,
e quella fiaba che ho in tasca, quella che comincia con la tua voce di latta che dice c'era una volta celeste...



la, lallà, lalallà, lallallà.....



“Cambio la lampadina a un pianeta già spento, che possiate vederlo anche voi, che il mondo da quassù sembra una casa galleggiante nel freddo”