lunedì, ottobre 31, 2011

chi ha tempo, non aspetti Tenco



Potevo buttare le braccia al collo della bottiglia e ballare vestito di bianco pestandoti i piedi, spiarti dal buco nelle mutande per sapere a quali fianchi giuravi domani, sentire le tue bestemmie di rossetto persino. Potevo guardarti dare via quello che era mio con il primo venuto, anche solo per sapere a che prezzo c'è il resto nel palmo. Potevo sentire con la lingua il nero sotto le unghie, il tempo di legno oscuro passato a grattare la tua porta, a pisciare di contentezza sul tuo zerbino, cagna da riporto. Potevo guardarti darmi le spalle o rubarti la schiena con il passo di chi non ha fretta, sostenere il tuo sguardo come un esame, basso e sporco come le tue labiali nel mio petto. Potevo sputare nel piatto dove mangi, per vederti grata della mia infedeltà, perché l'amore è una fame e non fa avanzi, mai. Potevo sentirti parlare con loro e dire non lo amo, ma fa compagnia. Potevo dirti vedrai vedrai, e morderti la nuca mentre facevi il verso all'amore con il culo in alto, venendo in francese. Potevo (si) potevo. Ma mi sono innamorato di me, perché non avevo niente da dare.

martedì, ottobre 18, 2011

esitation (trittico)


Jack Vettriano

Nelsen piatti
Vabbè, poi c'era questo fatto che ti dispiaceva che lavavo i piatti dopo aver cucinato. Allora un giorno mentre insapono una scodella verde mi fai quasi sottovoce "che poi, se devi fare tutte queste cose, allora vieni a vivere qui..." e io in quel momento esatto, senza nessun preavviso sto per dirti con questa voce che senti adesso "allora sposami" e mentre apro la bocca per dirlo suona il tuo cellulare, e le tue parole si confondono i mezzo alle bolle del nelsen piatti. Ora te non lo sai, ma io, mentre sciacquavo un bicchiere con Bugs Bunny sopra, ti ho pensata con il vestito bianco, e mi è venuto da piangere. tu riemergi tra le bolle chiudendo il telefono, io ti guardo, chiudo il rubinetto e dico "è finito il sapone, amore”.

Esitation (lista)
Restano, di ieri sera, la formica nel mio zucchero marrone , la ruggine nel lavandino, il tuo tabacco nella mia saliva, una bestemmia sotto la lingua, l'amore d'estate con il risvolto dei calzoni al ginocchio, il tuo odore nel libro a metà, una mano sugli occhi mentre faccio l'indiano, una attesa trattenuta nella schiena. La paura come una bella speranza, una scarpa dispari, lui, fuori dalla porta. Batto un tempo scalzo, t'ho esitata troppo.

Si scrive per una persona sola
Questi aggeggi per asciugare le mani sono sempre rotti. Me le asciugo nelle tasche e torno al tavolo. Il tuo posto è vuoto, e non vedo nemmeno il piatto. È rimasto il bicchiere con il passito e pezzi di mandorla sulla tovaglia. Il cameriere mi dice che il caffè è offerto dalla casa, gli chiedo se ha visto la signorina che era con me. Si mette a ridere “voi romai siete tutti comici eh..” mi guardo intorno, incrocio lo sguardo con la coppia di irlandesi che guardano la cartina, lui sorride e ingoia qualcosa. Al telefono una tizia metallica mi dice che il tuo numero non esiste, eppure, me lo ricordo. Così come ricordo di non essere mai stato in questo paese, credo. Mi ricordo di aver tenuto la mano sul cambio per tutto il viaggio pe lar paura che ti accorgessi che tremava, tu ci avevi appoggiato la tua, sopra, chiedendo il permesso. Ricordo la tua voce e il vestito bianco in mezzo al grano del finestrino. Io, invece, ero uno spaventapasseri con una taccola sulla spalla. Ricordo che mi tenevi la mano, ancora, e in mezzo al tufo non sentivo la fame e le ginocchia che cedono. Avevo la sola forza che bastava. Guardarti. Solo così, avevo fatto in tempo a rubarti il neo che hai sul collo. Ricordo l’unico tavolo in mezzo a un poco di brezza. Ricordo, che parliamo dei massimi sistemi , con la voce che trema appena mentre dici “Non siamo buoni per fare gli amanti...” Parla per te, vorrei dirti, ma il tortello di zucca mi guarda e fa di no con la testa. Allora dico “hai ragione” e lo ingoio senza pietà. Poi, mi alzo, e vado a lavarmi le mani.