lunedì, maggio 16, 2016

[piccole cronache senza vergogna / spettatore]

















Ti guardo e penso a quel gatto rosso che teneva il passero in bocca. Gli tiro un sasso, dicevo. Vedevo un’ingiustizia cosmica, una crudeltà, facevo l’eroe, dicevo. Lo salvo, si lo salvo. Poi mio padre fuori campo mi diceva che non potevo salvarli tutti, che ognuno aveva il suo ruolo. Il gatto fa il gatto e il passero fa la preda, è nella natura delle cose e va rispettata. Che intervenire, in qualche modo, avrebbe rotto un equilibrio. Prova ad essere spettatore e capirai, diceva. Dall’altra parte del guado ti vedo mentre l’omino del semaforo lampeggia prima di liberarci senza uno sparo. Ti si rompe la busta. Stai ferma con lo sguardo in basso mentre la frutta rotola in mezzo alle scarpe buone dei passanti, una chiazza bianca si allarga sull’asfalto nel riflesso liquido e rosso delle frecce in doppia fila, una pista di latte e mele candite sulle tracce dei copertoni in cui ti vedo riflessa. Così come la tiepida disperazione dell’abitudine, vedo il senso unico dei destini piegati alla natura delle cose, il cappotto con le maniche mangiate, chi ti aspetta a casa, il post- it attaccato al frigo che ti ricorda il dosaggio di qualche medicina o di passare in tintoria a ritirare le cose invernali e vedo il latte che si mischia al rivolo d’acqua che trascina sapone e foglie secche, un riflesso arcobaleno di olio per motori quattro tempi che scivola verso il tombino.

E rivedo il gatto rosso capite, e faccio l’eroe, mi dico. Ti salvo, si ti salvo. Mi piego e ti aiuto a raccogliere la frutta.

Il fatto è che i passeri poi, ho provato a salvarli tutti.