venerdì, giugno 30, 2017

[piccole cronache senza vergogna / autogrill]

Odio il Jazz. Odio il jazz in radio quando prendi una stazione sola. Il jazz prestato al pop mi fa pensare a Fausto Papetti. Fausto Papetti mi fa pensare agli autogrill e a quelle copertine di dischi piene di tettone abbronzate e al tema del padrino storpiato a colpi di sassofono e alla cioccolata coi buchi. La cioccolata coi buchi mi ricorda ogni volta, che certe cose per averle devi desiderarle a morte, che sennò, chi cazzo te le da'. Gli autogrill mi ricordano i cessi invece, quelli con le scritte zozze e i numeri di telefono. All'autogrill di Roncobilaccio, dopo il caffè, pisciavo tutto contento che c'era una barista che mi sorrideva sempre. E poi mi leggevo tutti i numeri, ma proprio tutti. Ho smesso solo quando ci ho letto il tuo. Ma che ne sapete voi.Odio il jazz.

mercoledì, giugno 21, 2017

[di maggio]










Fuori dal finestrino ci sono solo Roma, una parvenza salata d’estate nell’aria, una danza di lucciole bianche, uno della nettezza urbana che torna a casa e il silenzio irreale di certe notti, quello ovattato e quasi assoluto che riesci a percepire solamente poco prima dell'alba o dopo una nevicata. Solo che è la fine di maggio e a maggio non nevica.

L'enormità di alcune cose ti rende muto, per questo non diciamo una parola da quando siamo usciti dall’ospedale. La macchina scivola sull’asfalto silenziosa come una barca e navighiamo a vista dall’Isola Tiberina fino a Via Britannia col solo miraggio di un caffé. Al bancone del bar guardo le tue dita lunghe girare il cucchiaino nella schiuma, la bustina di carta marrone strappata per metà, le paste oltre il vetro, i tuoi occhi azzurri dietro le lenti, l’orologio che segna le 04:45. Poi sento il rumore delle tazzine sistemate nella lavastoviglie dal barista checca che anche stanotte ti fa gli occhi dolci, il vapore della gaggia, il fruscio della barba appena spuntata mentre ti lisci la punta del mento e mi dici:

-Mi somiglia?
-Veramente no, è spiccicata a lei per fortuna, ma crescendo magari…
-Vaffanculo…

Ridiamo.
Del giorno che stava per arrivare non avremmo potuto sapere troppo di più di quello che la penombra ci stava regalando, ma non saremmo mai più stati così silenziosamente complici e vicini ai ricordi che negli anni avevamo condiviso, così vicini alla gioventù e a tutto quello che eravamo stati da poterla quasi sfiorare allungando un braccio. Ma eravamo voltati indietro per un attimo ancora e nient’altro, consapevoli e impotenti che certi inizi, sono inevitabilmente la fine di qualcosa. Dopo quel saluto, niente sarebbe stato più come prima. Mentre apro lo sportello della macchina mi chiedi:

-E adesso?
-E adesso andiamo a dormire e ci sentiamo domani, come sempre.

Poi metto la freccia e esco dal parcheggio, proprio mentre comincia a nevicare.